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Project financing: guida all'uso per i non addetti ai lavori

In questi giorni, soprattutto in Veneto, il dibattito sui project financing (termine spesso orribilmente tradotto in “finanza di progetto”) è di estrema attualità visto che il Consiglio Regionale ha indistintamente bloccato tutte le procedure precedentemente iniziate per approfondirne le criticità.

Ma cos’è il project financing? Cercherò di inquadrare il tema a beneficio dei non addetti ai lavori, e quindi in maniera alquanto semplificata, rimandando i lettori più curiosi alle pubblicazioni del prof. Ezio Micelli che dell’argomento si occupa da almeno vent’anni.

Dunque, mettiamo che un’amministrazione pubblica (comune, regione, stato, etc.) abbia necessità di realizzare un’opera di pubblico interesse, ad esempio un’autostrada, un ospedale o una scuola, ma che non ha il denaro necessario per la costruzione, o che magari lo abbia ma non possa utilizzarlo per i vincoli del patto di stabilità.

Dato che questo “stallo” finanziario è proprio lo scenario che caratterizza le amministrazioni pubbliche italiane da ormai parecchi anni a questa parte, le strade sono semplicemente due: bloccare la realizzazione di qualunque opera pubblica a cui l’ente non può provvedere autonomamente (che vuol dire praticamente tutte le nuove opere) o realizzarla con risorse private. Il project financing appartiene appunto a questa seconda categoria, è uno strumento di finanziamento con capitale privato di opere pubbliche.

Ma perchè un privato (ma sarebbe meglio dire una cordata di imprenditori privati, frequentemente composta da costruttori e banche) dovrebbe investire il proprio denaro per la realizzazione di un’opera pubblica? Ovviamente perchè l’investimento è previsto abbia un rendimento; è normale (qualsiasi privato cittadino che investe 1.000 euro chessò, in BOT, lo fa per avere alla scadenza i suoi 1.000 euro più una rendita, piccola o grande che sia), è legale, è giusto!

L’esempio più semplice per chiarire come funziona questo strumento è la costruzione di un tratto autostradale; l’amministrazione pubblica non ha le risorse per realizzarlo, lo realizza il privato, ed in cambio ottiene in concessione la gestione di questo tratto per un certo numero di anni, durante i quali dovrà comunque sostenere anche i costi di manutenzione e gestione dello stesso, ma incasserà i ricavi relativi ai pedaggi, che andranno a ripagare l’intero investimento complessivamente sostenuto, garantendo in più un utile.

Semplice no? Ed in più, ribadisco, assolutamente legittimo! Ma quali sono allora le criticità che alimentano le critiche a questo strumento…. Essenzialmente ritengo siano due: la prima riguarda la determinazione di un utile congruo, perchè se è vero che per incentivare l’investimento dei privati bisogna ovviamente prevedere un utile che sia maggiore di quello garantito dai tradizionali rendimenti di altri strumenti finanziari e che tenga conto anche del rischio di impresa, è altrettanto vero che un rendimento troppo alto si traduce in un mancato introito per l’amministrazione pubblica, e di conseguenza per i cittadini. Più banalmente, se da un lato un imprenditore non investirà mai in un project che può rendergli il 3% annuo per X anni (perchè dovrebbe rischiare quando un rendimento simile lo può ottenere investendo in titoli finanziari a rischio praticamente nullo), dall’altro con un rendimento troppo alto si ritarda ingiustificatamente la chiusura del project, e quindi il ritorno alla gestione pubblica dell’opera e soprattutto dei suoi utili, a danno della collettività. Il secondo elemento di criticità sta nel fatto che la Legge prevede che possano essere gli stessi privati a promuovere la realizzazione di un’opera in project financing, lasciando poi all’Amministrazione Pubblica competente la valutazione se sia o meno di pubblica utilità; questo può comportare, nel caso di amministrazioni pubbliche che agiscano con troppa superficialità, alla realizzazione di opere in cui l’utilità pubblica difficilmente si scorge, mentre non dubito permanga quella del privato promotore; tantopiù che è diventato frequente inserire negli accordi relativi ai project delle clausole di salvaguardia a favore del privato che di fatto riducono fortemente il rischio d’impresa, trasferendolo sulla pubblica amministrazione (esempio: il privato propone la realizzazione di un tratto autostradale giustificandolo con un presunto traffico giornaliero di 100.000 veicoli, l’ente pubblico riconosce la pubblica utilità e sottoscrive il project financing dove però compare una clausola in base alla quale se il traffico reale dovesse essere inferiore a quanto stimato, il mancato incasso in termini di pedaggi viene compensato dalla stessa amministrazione).

Certo non sono mancati casi, anche recenti, in cui si ha la sensazione che queste criticità abbiano portato alla realizzazione di alcune opere in project financing non esattamente equilibrate tra interesse pubblico e privato, ma in definitiva non dovremmo ricadere nel solito vizio tipicamente italiano di trovare un capro espiatorio quando le cose non vanno come dovrebbero. Il project financing non è il MALE, è solo uno strumento, e per lo più assai utile di questi tempi; sta poi a chi utilizza questo strumento la responsabilità di usarlo bene o male.

Ma per usare bene uno strumento, sempre, bisognerebbe almeno aver letto il libretto delle istruzioni o, meglio ancora, farlo utilizzare a chi lo sa fare.

Ecco perchè, secondo me, aver bloccato indistintamente tutti i project financing della Regione Veneto dimostra che probabilmente chi stava usando questi strumenti lo faceva con scarsa competenza e quindi, di fronte a qualche criticità, abbia preferito fermare tutto non sapendo dove mettere le mani. Ma così non si fa molta strada…


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